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Con la sentenza n. 486 del 9 gennaio 2025, la Corte di Cassazione è tornata a pronunciarsi sul tema della responsabilità del notaio in relazione alla stipula di atti formalmente validi, ma potenzialmente lesivi di diritti di terzi. La decisione affronta un caso emblematico e offre interessanti spunti di riflessione in merito all’interpretazione degli articoli 27 e 28 della Legge Notarile, mettendo in luce il ruolo sostanziale del notaio quale garante non solo della legalità formale, ma anche della correttezza dell’operazione negoziale nel suo complesso.
Da anni la dottrina si interroga sull’ambito applicativo dell’art. 28, n. 1, L.N., non senza riserve nei confronti di quell’orientamento giurisprudenziale — consolidatosi a partire dalla nota Cassazione n. 11128/1997 — che ne ha limitato la portata alle sole ipotesi di nullità assoluta, escludendo quindi gli atti annullabili o comunque viziati da cause meno gravi. Tale indirizzo ha inciso profondamente sull’interpretazione sistematica della norma, disancorando l’art. 28 dalla previsione dell’art. 54 R.N. e determinando, in base all’art. 27 L.N., un obbligo per il notaio di prestare il proprio ministero per tutti gli atti non ricadenti nel perimetro della nullità assoluta.
Nel caso sottoposto all’esame della Suprema Corte, una banca aveva ceduto i propri crediti, assistiti da garanzia ipotecaria, a una società, che a sua volta li aveva trasferiti ad altra società cessionaria. Le cessioni erano state regolarmente annotate a margine dell’iscrizione ipotecaria originaria, ai sensi dell’art. 2843, comma 2, c.c., in applicazione del principio di accessorietà delle garanzie reali rispetto al credito (ex art. 1263 c.c.).
Ciononostante, successivamente la banca originaria, ormai priva della titolarità del credito, aveva prestato consenso alla cancellazione dell’ipoteca davanti al notaio. Questi, pur manifestando iniziali perplessità — debitamente rappresentate alla banca — aveva comunque proceduto alla stipula dell’atto di restrizione ipotecaria e alla conseguente formalità immobiliare, senza acquisire il consenso della società cessionaria effettiva del credito.
Il notaio aveva giustificato il proprio operato con il convincimento che non si trattasse di un atto nullo, e che quindi non ricorresse alcuna delle ipotesi di cui all’art. 28 L.N. Semmai — sosteneva — sarebbe stata nulla la formalità derivante dall’atto, con eventuale responsabilità del conservatore, che tuttavia aveva dato corso alla annotazione.
Sia il Tribunale di Verona, in primo grado, sia la Corte d’Appello di Venezia, in secondo grado, avevano rigettato la domanda risarcitoria promossa dalla società cessionaria, ritenendo che la cessione del credito non comprendesse validamente la garanzia ipotecaria relativa al bene oggetto di cancellazione. Le Corti territoriali avevano interpretato l’operazione come una rinuncia implicita alla garanzia da parte della banca cedente.
La Suprema Corte ha parzialmente cassato la decisione d’appello con rinvio, affermando principi destinati a incidere sulla prassi notarile e sulla portata degli obblighi professionali del notaio.
In primo luogo, la Corte ha ribadito la natura costitutiva dell’annotazione prevista dall’art. 2843 c.c.: dopo l’annotazione, l’iscrizione non può essere cancellata senza il consenso dei titolari dei diritti risultanti dall’annotazione medesima. Ne consegue che la cancellazione intervenuta su iniziativa della banca cedente — ormai priva di legittimazione — è da ritenersi illegittima.
In secondo luogo, la Cassazione ha affermato un importante principio di carattere generale: l’obbligo del notaio di astenersi dalla stipula di atti potenzialmente pregiudizievoli per terzi, anche in assenza di nullità formale. L’interpretazione restrittiva dell’art. 28 L.N. non può esonerare il notaio dal rispetto del dovere generale del neminem laedere, radicato nell’art. 2043 c.c.
Secondo la Corte, il comportamento del notaio, consapevole dell’assenza di legittimazione della banca e della potenziale lesività dell’atto nei confronti del titolare effettivo del diritto reale di garanzia, integra una condotta colposa idonea a generare responsabilità aquiliana. L’assenso alla cancellazione dell’ipoteca ha innescato un nesso causale diretto con l’evento dannoso, i cui effetti risultano irreversibili, non essendo neppure possibile, ex post, un ripristino dell’originaria iscrizione con efficacia retroattiva.
La sentenza n. 486/2025 si pone nel solco di una lettura evolutiva del ruolo notarile, che assume una dimensione sostanziale, ispirata alla tutela dell’affidamento e alla prevenzione dei conflitti. Il notaio è chiamato ad esercitare un giudizio critico sull’intera operazione negoziale, valutandone gli effetti non solo per le parti ma anche per i terzi potenzialmente coinvolti.
E’ chiaro che la Suprema Corte si riferisce a quei soggetti terzi che, inequivocabilmente, sono individuabili ex ante quali destinatari effettivi dell’atto, benché non vi abbiano partecipato, sì da restare potenzialmente danneggiati dal compimento dell’atto stesso.