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Persone fisiche e studi associati ai fini IRAP

  • 04/07/2025

La sentenza n. 113 del 13 maggio 2025 della Corte tributaria di I grado di Reggio Emilia, accogliendo l’istanza di rimborso IRAP proposta da uno studio notarile associato, fissa un punto importante nella nuova disciplina dell’IRAP, derivante dalla modifica introdotta dall’art. 1 comma 8 della legge n. 234/2021, razionalizzando tale scelta legislativa che ha come noto escluso dall’applicazione del tributo le persone fisiche, se esercenti attività d’impresa, artistica o professionale.

La puntualizzazione è assai importante perché da essa consegue che l’esclusione riguarda le persone fisiche, anche nella misura in cui svolgano la loro attività professionale in termini di studio associato; a differenza dell’attività d’impresa, quella professionale resta sempre attività svolta a titolo personale, e, in particolare per l’attività notarile – per la quale è in assoluto inibito uno svolgimento “collettivo” della professione -, essa non può implicare, a norma di legge, quella sostituzione dell’ente, quale soggetto cui imputare l’attività, alla persona fisica, che si verifica invece quando la società, di capitali o di persone, prende il posto nell’attività economica della singola persona fisica.

La norma di esclusione, invero, ha prestato da subito il fianco a critiche perché individuava il discrimine, tra ipotesi tassate e non, in un dato non direttamente significativo, in termini di razionalità della disciplina. Tenuto infatti conto della circostanza che il presupposto dell’IRAP è identificato nella gestione di un’attività organizzata con aggregazione di una pluralità di fattori produttivi (questo è stato il punto di approdo della Corte di cassazione, dopo lo spunto critico della sentenza n. 156/2001 della Corte Costituzionale), la legge del 2021 ha tracciato un solco tra attività individuali, escluse, e attività svolte in forma associata che invece secondo l’Agenzia delle entrate (circolare 4/E 2022) avrebbero dovuto sempre e comunque essere assoggettate ad imposta, solco che però appare incoerente, ben potendo esservi imprese o professionisti individuali eteroorganizzati e invece strutture associate prive di organizzazione.

Si può comprendere che il legislatore abbia preferito uno spartiacque certo che consentisse di evitare complessi e sempre opinabili accertamenti sul requisito dell’(etero)organizzazione; nelle intenzioni, si trattava di un primo passo verso la (sempre meno realistica) soppressione del tributo.

Ma la semplificazione non regge ad un’analisi critica, per più motivi. A parte il fatto che essa si traduce in un assurdo incentivo alle disaggregazioni (o in un disincentivo alle aggregazioni) degli studi professionali, antistorico e antieconomico, sta di fatto che possono esservi professionisti individuali eteroorganizzati, e studi associati che invece non realizzano il presupposto.

Il legislatore del 1997 non era d’altra parte ignaro della questione, se è vero che, indicando per presunzione assoluta i soggetti passivi dell’IRAP, ha menzionato espressamente all’art. 2 le attività in forma societaria, tacendo invece sugli studi associati, che non risultano automaticamente assoggettati al tributo in contrapposizione all’esclusione riservata ai professionisti singoli (la dicitura “ente” è ambigua al riguardo). L’art. 3, che elenca i soggetti passivi del tributo, non è poi risolutivo al riguardo, perche menziona in un’unica categoria sia i professionisti individuali sia quelli in forma associata, e non esclude una lettura estensiva dell’agevolazione introdotta nel 2021.

In buona sostanza, la corte reggiana finisce con il censurare il tentativo di semplificazione del legislatore, e conclude nel senso che, se il discrimine deve essere ancorato non all’organizzazione, ma alla forma giuridica dell’attività, ebbene l’attività dello studio associato va scissa e considerata come attività dei singoli soci, e meritevole dunque di quella stessa esclusione spettante al professionista singolo.

Sarà interessante verificare se l’orientamento si diffonderà, nell’attesa sono possibili due considerazioni tra loro complementari.

La prima riguarda la modalità di intervento: di fronte a una norma di detassazione (in questo caso, peraltro, si tratta di esclusione strutturale, verosimilmente, e non di esenzione in chiave agevolativa) la giurisprudenza tende di solito ad evitare interventi additivi, che amplino l’oggetto dell’agevolazione: si dice che si tratta di norme eccezionali, come tali di stretta interpretazione, che solo il legislatore o la Corte costituzionale possono modificare (anche per l’incidenza sulle entrate pubbliche).

Quale che sia l’opinione su questo pregiudizio giurisprudenziale, appare comunque corretta nel caso di specie la scelta avanzata della Corte reggiana, che ha ampliato la sfera applicativa della norma mediante un intervento giustificato sul piano letterale dalla difficoltà di applicare ai professionisti l’alternativa tra esercizio individuale e esercizio “associato”. Preso atto che il legislatore del 2021 ha agito distinguendo in funzione della forma di svolgimento dell’attività, la sentenza ha ritenuto inevitabile la lettura estensiva dell’agevolazione e coerentemente ha evitato di condurre l’analisi sul piano dell’organizzazione, che probabilmente l’avrebbe costretta a rimettere la questione alla Corte costituzionale. per valutare la ragionevolezza della scelta limitativa.

La seconda osservazione riguarda la possibile ricerca di un punto di equilibrio. Il percorso scelto dalla Corte reggiana, infatti, rischia di produrre un cortocircuito nella gestione del tributo IRAP, nella misura in cui, per effetto della erroneità del parametro legislativo, abbia l’effetto di sostituire un altro automatismo a quello disapplicato, affermando che nessuna associazione professionale può essere assoggettata ad IRAP.

Infatti, una volta assunta la erroneità dell’equazione forma associata/soggettività IRAP, resta – magari de iure condendo – l’esigenza di fissare un parametro ragionevole per evitare che la cattiva costruzione della norma di esclusione conduca ad una dilatazione del suo ambito applicativo tale da detassare anche strutture palesemente e oggettivamente eteroorganizzate.

Si ricade però in questo modo nella ben nota difficoltà che, già a proposito dell’ILOR, condizionò giudici e legislatore protesi alla ricerca di un criterio attendibile e oggettivo per poter individuare a priori, in forma generale e astratta, la soglia oltre la quale un’attività dovrebbe essere considerata comunque tassabile perché eteroroganizzata. Insomma, si dovrebbe ritenere che, mentre ha un fondamento la presunzione per cui un’attività individuale non è mai organizzata, non hanno fondamento né la presunzione che consideri tassabile sempre e comunque la professione svolta in forma associata, né quella, estrema, per cui quest’ultima non raggiungerebbe mai i limiti adeguati a giustificarne la soggezione a IRAP. 

A questo compito potrebbe meglio provvedere il legislatore, perché, di fronte alla pluralità di soluzioni possibili che si aprirebbero dopo una dichiarazione di incostituzionalità, la Corte costituzionale ha mostrato di preferire sentenze di inammissibilità della questione, sorrette però da un’analisi critica del problema e da indicazioni – monito indirizzate al legislatore.  

Ecco allora che la sentenza della Corte tributaria reggiana appare corretta nel rimediare a un errato approccio del legislatore e nel contempo utile a stimolare un ripensamento del perimetro dell’agevolazione da parte del legislatore.